La guerra in Ucraina è arrivata al giorno 1273 e continua a mostrare tutte le sue contraddizioni. Da una parte, si moltiplicano i tentativi di apertura diplomatica, con la prospettiva di un incontro diretto tra Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, seguito da un trilaterale con la partecipazione di Donald Trump. Dall’altra, i cieli ucraini restano ancora sotto il fuoco dei missili e dei droni russi, che nelle ultime ore hanno colpito Kremenchuk, Poltava, Kharkiv e Kiev, prendendo di mira soprattutto le infrastrutture energetiche.

Questi attacchi non sono casuali, ma rappresentano una strategia precisa del Cremlino: dimostrare la propria forza militare proprio mentre si parla di pace, per presentarsi ai colloqui da una posizione di vantaggio. La guerra, quindi, prosegue nonostante le dichiarazioni di intenti e, anzi, sembra accompagnare passo dopo passo i negoziati.

Sul piano politico, la questione della sede dei colloqui resta un nodo delicato. Putin propone Mosca, ma Kiev ha respinto con decisione questa opzione, considerandola un’umiliazione diplomatica e una concessione simbolica al nemico. L’ipotesi più concreta resta quella di Ginevra, sostenuta anche dall’Italia, con la Svizzera pronta a garantire immunità legale a Putin in caso di partecipazione.

Zelensky, intanto, ribadisce che nessuna tregua sarà possibile senza garanzie di sicurezza concrete per l’Ucraina. Nei prossimi dieci giorni gli alleati occidentali dovrebbero formalizzare un pacchetto di impegni che includa sostegno militare, economico e soprattutto la promessa di difendere Kiev in caso di nuove aggressioni. Si tratta di un punto fondamentale per il futuro, che richiama l’idea di una protezione simile a quella assicurata dalla NATO ai suoi membri, pur senza un’adesione formale all’Alleanza.

Le reazioni internazionali rivelano una scena complessa. Emmanuel Macron ha espresso scetticismo sulla sincerità di Putin, sottolineando che la Francia parteciperà agli sforzi diplomatici senza però farsi illusioni. L’Europa appare divisa: alcuni Paesi, come Italia e Svizzera, puntano sulla mediazione, mentre gli Stati più vicini al confine russo insistono su una linea di massima fermezza. Nel frattempo, gli Stati Uniti si propongono come protagonisti assoluti del processo, con Trump che mira a rafforzare il proprio ruolo sulla scena internazionale, seguendo un approccio pragmatico orientato più al risultato che ai principi.

Il quadro complessivo descrive un “negoziato armato”: mentre la diplomazia cerca soluzioni, la guerra continua con la stessa intensità. Per l’Ucraina la sfida è resistere sul campo e ottenere garanzie politiche durature; per la Russia l’obiettivo è mantenere la pressione e piegare Kiev a concessioni strategiche; per l’Occidente, infine, il compito è decidere se limitarsi a favorire il dialogo o impegnarsi direttamente con garanzie vincolanti.

Il futuro resta incerto. La grande domanda è se questi negoziati riusciranno davvero ad aprire la strada a una pace stabile o se si ridurranno a un esercizio diplomatico destinato a fallire mentre le armi continuano a parlare. La risposta dipenderà dalla capacità delle parti di andare oltre la logica della forza, e dalla determinazione della comunità internazionale a non permettere che la guerra diventi un eterno stallo senza uscita.

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